Mentre in molti Paesi del mondo la pandemia da Sars-CoV-2, meglio nota come CoViD-19, si diffonde ancora in modo incontrollato, in Italia la situazione sembra essere stata contenuta, anche grazie alle dure misure prese, ed è arrivato quindi il tempo di bilanci ed analisi. Molti settori hanno subito enormi conseguenze sia dalla pandemia che dalle iniziative messe in atto per contenerla, altri per motivi differenti non hanno mai smesso di operare. In particolare, il settore farmaceutico è stato chiamato ad uno sforzo senza precedenti per garantire la continuità operativa e i rifornimenti di prodotti farmaceutici durante tutto il lockdown a chi ha combattuto in prima linea contro gli effetti devastanti del virus.
L’Italia ricopre un ruolo di primissimo piano nella produzione di farmaci all’interno dell’UE con un totale di 32.2 miliardi di euro di produzione, di cui l’80% dedicato all’export. La presenza farmaceutica in Italia è concentrata per la maggior parte in cinque regioni – Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto – e conta un totale di addetti diretti pari a oltre 66 500 ed un totale di addetti indiretti pari a oltre 79 000. Gli investimenti solo nel corso dello scorso anno sono stati pari a 3 miliardi di euro, dei quali 1,7 miliardi di euro in R&S e 1,3 miliardi di euro per investimenti relativi alla produzione.
Per questo abbiamo deciso di chiedere alle aziende che partecipano all’iniziativa “OpEx in Pharma“, organizzata dal Prof. Schiraldi del Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa dell’Università di Roma “Tor Vergata”, di raccontarci la loro esperienza, le iniziative che hanno messo in atto per far fronte all’emergenza, che impatti abbiano avuto in termini di gestione delle operazioni e, soprattutto, verso quali prospettive sono orientati alla luce dell’esperienza appena vissuta.
Tra le aziende intervistate, meno della metà aveva un piano di azione specifico per far fronte all’emergenza, ed anche nei casi in cui era presente, le indicazioni in esso contenute erano più che altro “teoriche”, di conseguenza è stato necessario costituire un comitato di crisi ad hoc. I casi in cui la reazione all’emergenza è stata più rapida ed efficace è stata comunque quella in cui le figure demandate alla gestione degli eventi avversi erano già definite all’interno delle organizzazioni. Un supporto significativo alla gestione dell’emergenza ed alla definizione delle procedure è stato spesso fornito da consulenti sanitari esterni o da una stretta e proficua collaborazione con le Aziende Sanitarie del territorio, con le quali è stato possibile interloquire per ricevere suggerimenti sulle iniziative messe in atto per contenere i rischi per i lavoratori.
Un altro fattore di successo è stato poter disporre di un’infrastruttura tecnologica in grado di consentire in tempi rapidi l’attivazione massiva dello smart working, uno dei temi più caldi e discussi di questi tempi. L’industria farmaceutica non è esente da questo profondo cambiamento di mentalità, sebbene in alcune realtà tale istituto fosse già consuetudine anche prima della pandemia. Le aziende in cui è stato implementato per la prima volta in questi mesi ne hanno tratto giovamento anche grazie al senso di responsabilità di tutto il personale che, con professionalità e senso del dovere, tenuto conto anche della gravità della situazione emergenziale in alcune zone del Paese, ha garantito una disponibilità ben oltre le aspettative per supportare la produzione e, più in generale, le operazioni svolte dai propri colleghi presenti negli stabilimenti.
Le maggiori criticità, ovviamente, sono state quelle legate alle misure di protezione (DPI, attività di sanificazione periodica, ecc.) del personale dipendente, sia da un punto di vista organizzativo che in termini di sicurezza della persona. Mentre infatti per buona parte del personale indiretto è stato possibile continuare ad operare in smart working, il personale necessario a mantenere operative le linee di produzione ed i laboratori è stato spostato su turni, laddove non si operasse già su 3 turni giornalieri. È stata pratica comune, inoltre, lo scaglionamento degli accessi agli stabilimenti, per evitare assembramenti agli ingressi o negli spogliatoi; in alcune realtà ci si è adoperati per segregare le squadre o tracciare i contatti per evitare il rischio che, in caso di insorgenza di positività all’interno dello stabilimento, ciò comportasse una chiusura generalizzata dell’impianto. Questi vincoli hanno portato a perdite di operatività stimate tra il 5 ed il 12% della capacità effettiva delle linee e dei laboratori, perdite che sono state nel corso del tempo compensate da una migliore organizzazione degli ingressi. In ogni caso, un fattore chiave per il successo di queste iniziative è stato il coinvolgimento degli RSPP e delle rappresentanze dei lavoratori nei processi decisionali.
Il tasso di assenteismo in alcuni casi ha avuto impatti significativi, non tanto in termini di numero di eventi di assenza, quanto di durata degli stessi, passata da pochi giorni a due settimane, soprattutto per isolamenti a scopo precauzionale. In altri casi, invece, al fine di salvaguardare le figure più a rischio e garantire livelli di sicurezza maggiore per gli operatori di stabilimento si è fatto da un lato ricorso agli strumenti messi a disposizione dal Governo, quali congedi parentali ed estensioni dei congedi garantiti dalla L. 104/92, dall’altro si è intervenuti con permessi retribuiti aggiuntivi, a carico dell’azienda. Frequenti, inoltre, sono stati i casi di organizzazioni che hanno deciso di attivare un’assicurazione specifica per i rischi CoViD-19 a favore dei dipendenti. Ulteriori iniziative interessanti sono state quelle di formazione ed informazione del personale presente in stabilimento, orientati, se non ad eliminare, quantomeno a contenere la diffusione delle cosiddette fake news relative alla CoViD-19.
Per quanto concerne invece le misure di protezione individuale, vi è stato un problema urgente legato al reperimento delle mascherine: per superare l’iniziare carenza si è ricorso od al supporto delle rispettive case madri, ove presenti, o a quello di Farmindustria che si è attivata per garantire l’approvvigionamento per le aziende in particolare sofferenza. In molti casi si è optato per differenziare il tipo di mascherina da utilizzare tra il personale di reparto e gli indiretti, nei casi in cui era più difficile garantire il distanziamento, oppure fornendo ai dipendenti delle mascherine lavabili per contingentare quelle monouso negli ambienti GMP. Per quanto riguarda i disinfettanti, solo le aziende che prevedevano già produzioni alcoliche hanno potuto destinare un lotto di produzione per uso interno; in queste ultime settimane, invece, si riscontra particolare sofferenza nel reperimento dei guanti monouso, ragionevolmente da imputarsi all’impennata della richiesta di mercato derivante dall’implementazione dei protocolli sanitari in vista della cd. “Fase 2”.
In generale, i maggiori costi legati all’incremento delle spese di sorveglianza sanitaria ed all’approvvigionamento a prezzi maggiorati dei dispositivi di protezione individuale sono stati in parte compensati dai budget destinati alle spese di trasferta e alla partecipazione ad eventi e fiere che sono state, per le medesime ragioni, annullate o rimandate.
Oltre all’ovvia esplosione di richiesta di disinfettanti per mani che ha portato le aziende produttrici a quadruplicare la produzione rispetto allo scorso anno, si sono verificati sovente effetti di accaparramento di prodotti quali antipiretici, integratori, analgesici e salva-vita, nonché un lieve aumento degli antidepressivi. Questi incrementi di domanda, laddove si sono presentati con maggior impatto, hanno spinto le aziende a razionalizzare le produzioni, portando ad un miglioramento dell’efficienza.
La situazione è risultata invece non significativamente critica per gli approvvigionamenti di materie prime (API, eccipienti) e materiali di confezionamento, con l’eccezione di alcuni prodotti provenienti da Paesi del Sud Est asiatico. Sono stati invece molto frequenti i ritardi nelle consegne, seppur mitigati da livelli di copertura delle scorte adeguati a soddisfare almeno due mesi di produzione.
La situazione di forte stress a cui sono state sottoposte le organizzazioni non ha però influito sulle scelte strategiche in ambito automazione: solo in alcuni casi la crisi epidemiologica ha evidenziato o accelerato scelte già prese in precedenza legate al revamping di alcune linee critiche o l’introduzione dell’eBR per consentire la continuità delle operazioni con l’utilizzo dello strumento dello smart working.
In ultima analisi, proprio un’adozione sistematica e più strutturata dello smart working è tra le novità che sembra riscontrare il maggiore interesse da parte delle aziende per la cd. “Fase 3”. Abbiamo infatti chiesto quali iniziative dovessero essere mantenute od introdotte al termine dell’emergenza: a tale domanda, la quasi totalità degli intervistati ha individuato nel lavoro agile una modalità efficace e produttiva da mantenere, magari limitandola ad alcuni giorni a settimana e con regole precise per migliorarne la diffusione e la fruizione; tutto ciò ha come evidente prerequisito un rafforzamento dell’infrastruttura IT. Un’altra lesson learned significativa è quella relativa ai processi di gestione delle emergenze: avere una procedura chiara e dei ruoli definiti per gestire un evento avverso di questa portata ha fatto la differenza in termini di tempi di risposta e, di conseguenza, continuità del business. Sempre nell’ambito della continuità delle operazioni alcune aziende stanno ragionando su studi sulla gestione rischi su impianti specifici o su una gestione differente delle scorte per garantire dei buffer di disaccoppiamento per le produzioni critiche.
In conclusione, va ricordato che sono gli shock ed i momenti di crisi ad essere il terreno di prova in cui un’organizzazione dimostra la propria robustezza e la capacità di far fronte alle avversità: la presente analisi, condotta sul comparto farmaceutico italiano a valle dell’insorgere della pandemia CoViD-19, al fine di valutare l’efficacia della prima reazione, ha dimostrato, a parere nostro e degli intervistati, che tale reazione sia stata tempestiva ed efficace. Sia le realtà nazionali che quelle legate ad organizzazioni internazionali in breve tempo sono apparse in grado di far fronte alla sfida, ricercando contestualmente la continuità del business e la sicurezza della propria forza lavoro. A nostro parere, la rapidità nell’introdurre cambiamenti e l’efficacia delle soluzioni sono state rese possibili anche grazie ad un’organizzazione del lavoro snella, a procedure chiare e nella stretta collaborazione con tutti gli attori della supply chain del farmaco, dai produttori di API, ai distributori, agli operatori logistici. L’eccellenza operativa si è dimostrata ancora una volta un fattore chiave per il comparto farmaceutico italiano, permettendo di ottenere il non facile vantaggio competitivo di fronteggiare un’emergenza improvvisa e destabilizzante come quella che stiamo affrontando nella maniera più appropriata.
(a cura di Matteo Comodini)
Ringraziamo tutte le Aziende che hanno collaborato a questa iniziativa, tra cui Angelini Pharma, BSP Pharmaceuticals, Catalent, CordenPharma Latina e Savio Industrial.